martedì 15 febbraio 2011

Baaría



Torno contenta dopo aver visto Baaría. Ho capito un po' di cose: una delle più importanti, com'è rigida ed insapore la lingua standard, com'è autoritaria in confronto al dialetto, alla lingua viva.

Ho anche capito cos'è un bombardamento sopra la popolazione civile che ha solo un buco dove ripararsi. Non che non lo sapesse, ho avuto da piccola i racconti di mia madre, ripetuti, però oggi l'ho capito come non prima: io ero lì (la magia del cinema?).

Ho goduto con la poesia dei ricordi di un bambino, con la messa in scena, con la ironia e con i sorrisi che scaturiscono dall'ingenuità, dalla verità della gente...

Ho trovato solo la mancanza dello sguardo femminile. Perché non c'è assolutamente la traccia di Dacia Maraini, bagheriota anche, lei, che su Bagheria ci ha scritto --Guttuso non mi risulta, a parte dipingere quel benedetto polpo-- prima che al signor Tornatore gli venisse in mente di farne un film. Strani, questi intellettuali: è che l'esperienza di una bambina non poteva aggiungere niente a quella del bambino? Come putroppo spesso, il punto di vista maschile viene spacciato per l'unico, universale, ed è un punto di vista che ci colloca dalla parte degli oggetti. Belli, ma non soggetti. Occasione persa ancora una volta!

Bella l'ambientazione, belli e bravi i comunisti di una volta, bello il cinema che riesco a capire e a sentire mio. Che felicità!

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